RECENSIONI
Ass. Cult. Medievaleggiando
L’autore approfondisce le origini dell’ispirazioni del Professore, a volte gettando uno sguardo panoramico, a volte focalizzandosi sulle particolarità di alcuni personaggi, mai banali e sempre più complessi di quanto non appaiano ad un primo sguardo superficiale.
La subcreazione del suo mondo è per Tolkien un’operazione complessa, frutto di numerosi tentativi, e approcciare questo processo di creazione, dove si mescolano la grande conoscenza del Professore e la sua prodigiosa fantasia, può essere affascinante tanto quanto ammirare l’opera completata. Corredato da una prefazione del saggista e traduttore Edoardo Rialti, si tratta di un libro accessibile anche per chi è poco abituato alla saggistica, ma vuole iniziare ad approcciare lo studio degli scritti tolkieniani.
Alena Afanasyeva
I saggi raccolti nel libro non sono omogenei, la maggior parte è di carattere piuttosto generico, ma offre un panorama delle diverse tematiche degli studi tolkieniani svolti all’estero e in Italia. Gli articoli che ho gradito particolarmente sono invece quelli dove l’autore esplora un personaggio specifico o un tema a lui particolarmente caro. Così sono i saggi dedicati a Bilbo, ad Aragorn, all’ofermod e alla guerra e antimilitarismo. Ho anche apprezzato la recensione del libro Santi pagani nella Terra di Mezzo – un vero dialogo tra due tolkienisti che spinge verso una riflessione più attenta sulle tesi proposte nel saggio di C.A. Testi.
Alessandro Palladino per N3rdcore.it
Una raccolta di interventi riguardanti il lavoro di Tolkien, principalmente incentrati sulla costruzione dei suoi personaggi letterali. Anche qui, l’importanza del processo creativo avviato dalle fonti del passato viene sottolineata ampiamente, trovando nelle storie che appassionavano Tolkien la voglia di continuarle e di riscriverle. Un sentimento comune perfino a molti altri scrittori più o meno famosi, che sorprendentemente è proprio alla base della letteratura del maestro o, almeno, lo è nello spettro del suo esordio. Per quanto si voglia guardare tra le pagine dei suoi lavori meno datati, si ritroverà sempre la presenza di questo horror vacui del fan che vuole andare avanti nell’avventura appena finita tra le pagine di un libro. Da qui si prendono figure archetipe, le si imprigiona tra le mani e le si plasma rendendole nuovi personaggi adatti a un mondo moderno. Un processo che accomuna diverse figure tra Lo Hobbit, Il Signore degli Anelli e i racconti esterni a essi, trovando nel concetto della guerra un punto di estrema vicinanza e uno spunto di riflessione enorme per noi amanti dell’autore.
Paolo Nardi – La spelonca del libro
Esce Il fabbro di Oxford, un libro che raccoglie interventi che risalgono al periodo 2014-2017 e che sono stati tenuti in contesti e occasioni molto diversi tra loro (convegni accademici, festival letterari e fiere del fumetto). Si tratta quindi di un saggio meno organico ma non meno appassionante, che si focalizza già dal titolo (che cita anche implicitamente Il fabbro di Wootton Major) sull’attività artigiana di Tolkien come scrittore e il suo valore letterario. Wu Ming affronta Tolkien esattamente come lo ha già affrontato in Difendere la Terra di Mezzo, ovvero cercando «di illustrare il modo in cui ha costruito i personaggi e le storie attingendo alla grande conoscenza della propria materia di studio – la filologia e la letteratura medievale – e come sia riuscito ad attualizzare quest’ultima attraverso l’invenzione narrativa» e la rielaborazione moderna di tematiche e figure prese dalla letteratura medievale e dalle saghe nordiche. Tolkien non si limita a citare e ricalcare in maniera sterile o nostalgica le sue fonti di ispirazione, ma le riplasma e riadatta, le riforgia in maniera creativa, per parlare alla contemporaneità. In caso contrario, se fosse soltanto un autore mimetico e imitativo, non saremmo nemmeno qui a parlare di lui. Gli eroi classici nella Terra di Mezzo ci sono ma vengono trasformati e cedono il passo a una figura di tipo nuovo: l’uomo comune. La stessa Contea è la parte «più prossima al mondo moderno, dal punto di vista dei costumi e della mentalità», e Bilbo Baggins «certo non può essere un eroe vecchio stampo, un dragonslayer del tipo di Sigurd o Beowulf» (tanto che Shippey lo ha definito uno “scassinatore borghese”). In questo modo Tolkien compie una riflessione moderna su grandi temi come la morte, il potere e l’eroismo, e lo fa utilizzando e attualizzando il mito, in un dialogo assolutamente personale con autori come Robert Graves, Albert Camus, George Orwell e Simone Weil, proprio come «in Difendere la Terra di Mezzo si mostrava come gli interrogativi al cuore delle opere di Tolkien sorgessero dalle medesime sfide conoscitive ed esistenziali di una Simone de Beauvoir» (come scrive Edoardo Rialti nella Prefazione); insomma, un autore ben diverso da quello in fuga dal mondo moderno che qualcuno, soprattutto in Italia, ha sempre cercato di far passare.
FRANCO PEZZINI – CARMILLAONLINE.COM
Senza piaggerie – di cui l’autore del libro non ha bisogno – studi come questo sono un esempio eccellente del tipo di critica oggi necessaria in materia di fantasy (e non solo, ma limitiamoci al particulare). Benvenute le opere compilative ad ampio raggio, che se felicemente realizzate possono essere preziose per inquadrare il fenomeno nella sua latitudine; benvenuto anche un certo approccio ruspante in chiave fandom. Ma se non andiamo a incalzare nel rispetto della relativa complessità i singoli testi, la genesi, le fonti, le convinzioni di un autore – anche quando non dice ciò che ci piacerebbe sentire, e tenendo distinti la sua soggettività storica e l’impatto di opere che vanno oltre lui – ci fermeremo alla rifrittura delle stesse banalità e dei soliti travisamenti. In un tempo come il nostro in cui la banalizzazione è premiata, e il successo diluviale di un genere popolare come il fantasy vede un inevitabile scarto tra quantità e qualità delle voci, sia in termini di narrativa che di riflessione sulla medesima (gli autori si propongono spesso come critici tramite web e social), Il fabbro di Oxford è un prezioso richiamo alla complessità.
Teofilatto dei Leonzi
Si va dai saggi più divulgativi o introduttivi al mondo della critica tolkieniana (cosa non certo banale visto che i nomi grossi degli studi tolkieniani internazionali sono arrivati sugli scaffali delle librerie italiane solo di recente, con qualche virtuosa eccezione), al ritorno dei temi cari a Federico Guglielmi, in primis la guerra e l’eroismo declinati in maniera del tutto originale da Tolkien. Ho sempre trovato particolarmente interessante osservare un’opera narrativa attraverso gli occhi di un altro narratore, perché a differenza di una degustazione di vini con un sommelier, non è necessario agitare il bicchiere fingendo di sapere cos’è un tannino, ma il lettore può mettere in gioco le sue impressioni e confrontarle con quelle di chi sta “dall’altra parte della pagina”, in un incontro assolutamente paritario e proficuo. E il narratore WM emerge chiaramente nel saggio “Do you believe in fairies?. Appunti per un volo pindarico tra il Lake District e Neverland”, in cui sovrapponendo diversi piani temporali tra la tarda epoca vittoriana e la prima metà del ‘900 ricrea in brevi pennellate il contesto culturale e storico della narrativa fantastica inglese. Tra le fascinazioni gotico-esoteriche vittoriane e la sconvolgente nascita del secolo breve con la Grande Guerra irrompe Tolkien con la sua irriducibile personalità e complessità. E poi la guerra, quella vera delle trincee e dei gas, del massacro delle Somme, e quella delle pagine del Legendarium, che dialogano a distanza e si interrogano sulla differenza tra eroismo e militarismo, obbedienza e opportunità, saggezza e cieco orgoglio. A rappresentare questi temi vengono chiamati Aragorn con la sua regalità che trascende quella del re medievale per farsi vero servitium nella Terra di Mezzo, generato anche attraverso il dubbio e l’umiltà; l'”intellettuale” Faramir, amico del saggio Gandalf, e vero eroe, ma che ottiene le sue migliori vittorie come guerrigliero con i suoi ranger mimetici dell’Ithilien; Sam e Frodo che si confrontano con l’orrore della guerra, il primo contemplando il cadavere del povero Haradrim portato a combattere in terra straniera dalla minaccia o dalla “propaganda” di Sauron, e il secondo a gestire la necessaria rivolta della Contea contro gli sgherri di Sharkey-Saruman, con il disgusto per la violenza, la pietà e la necessità del combattimento fusi assieme in un sentimento poco confortevole per il lettore, ma che è specchio di chi la guerra e i massacri li ha visti davvero. La sensibilità di Tolkien per il tema della guerra e dell’eroismo però travalica i confini della Terra di Mezzo ed entra anche nella produzione accademica del Professore: il Beorhtnoth è il “sequel” del poemetto medievale frammentario “la battaglia di Maldon” in cui si compie quello che Tom Shippey (erede della stessa cattedra oxoniense di Tolkien) definisce senza mezzi termini il “parricidio” dell’ideale nordico della gloria e del sacrificio, mostrando appieno la portata dell’etica cristiana di Tolkien, molto più che nelle letture marcatamente confessionali dell’opera tolkieniana che spesso appiattiscono ad icona la figura fortemente tridimensionale e chiaroscurata di un gigante della letteratura del XX secolo. In definitiva una bella raccolta di interventi che secondo me hanno il maggior pregio di far nascere connessioni inaspettate nella mente del lettore, sia per chi è nuovo nel mondo della critica tolkieniana sia per chi ha già “a curriculum” la lettura dei big degli studi tolkieniani come Shippey, Flieger, Garth e gli altri.